Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo alle Terme
Il gesuita Massimiliano Massimo trasformò il palazzo in istituto scolastico: nel corso dei lavori vennero alla luce tratti di un’antica strada romana che univa il Quirinale con la porta del Viminale ed un cippo che ricordava la gens Lollia: forse il destino dell’edificio era già assegnato. Infatti il complesso edificio improntato ad una certa austerità, non immune da moduli neorinascimentali è stato acquistato dal ministero dei Beni Culturali ed è divenuto la sede centrale del Museo Nazionale Romano, articolato con gli altri siti già fruibili da tempo dell’aula Ottagona, ex planetario, dei locali delle Terme di Diocleziano e dello splendido Palazzo Altemps. Seguendo i criteri razionali della museologia moderna sono stati creati nuovi spazi espositivi nei quali un incredibili materiale archeologico è diviso per classi funzionali originarie, per complessi di provenienza, di scavo e di raccolta.
La struttura moderna ospita “Niobe”, scultura di donna che cade all’indietro mostrando il volto e il seno mentre cerca di liberarsi delle frecce scagliatele da Artemide e Apollo. C’è l’ermafrodita addormentato, delicata figura femminile con gli attributi maschili, nata, così scrive Ovidio nelle “Metamorfosi” dall’unione di Hermes e Afrodite. E poi la “Fanciulla di Anzio”, il “Discobolo Lacellotti”…
Le numerose sale visitabili si articolano secondo 4 piani espositivi: nel seminterrato sono esposti i tesori di numismatica e gioielleria romana, al piano terreno si trova ubicata la sezione di arte antica con pezzi unici di scultura e ritrattistica romana nonché di sculture originali greche di fase tardo repubblicana-tardo imperiale, il primo piano dedicato ancora alle sculture, questa volta unicamente di età imperiale, con i pezzi esposti secondo una ricercatezza finalizzata alla chiarificazione dell’evoluzione stilistica legata alle diverse fasi cronologiche.
Ma, sicuramente, è nelle sale del secondo piano che il pubblico avrà la sensazione di rimanere senza fiato: dopo anni di restauro saranno visibili gli splendidi affreschi della villa di Livia a Prima Porta e dei sotterranei della villa della Farnesina: capolavori indubbiamente unici in grado di competere se non di superare la magnificenza delle pitture pompeiane.
Il complesso, unico, riveste grande importanza perché illustra il momento di transizione dal II stile al III stile pompeiano, avvenuto nel corso dell’ultimo terzo del I sec. a.C. Vitruvio, nella sua storia dell’architettura (VII, 5, 4), pubblicata intorno al 25 a.C., descrive e contemporaneamente critica il nuovo sistema decorativo che i pittori dei suoi tempi stavano sperimentando sulle pareti delle residenze romane, introducendo negli affreschi forme architettoniche prive di concretezza strutturale e figure fantasiose:
“Questi soggetti figurativi, che erano desunti come copie a partire da elementi reali, ai nostri giorni meritano disapprovazione per colpa del diffondersi di una moda depravata. Sugli intonaci si dipingono infatti mostruosità piuttosto che immagini precise, conformi a oggetti definiti: al posto delle colonne, cioè, si dispongono calami; al posto dei frontoni motivi ornamentali con foglie arricciate e volute, e poi candelabri che reggono immagini di tempietti, con teneri fiori che spuntano sopra i frontoni come da radici in mezzo alle volute, con all’interno, senza una spiegazione razionale, figurine sedute. E ancora piccoli steli che recano figurine divise in due metà, una a testa umana, l’altra a testa animale. Ma queste figure non esistono, non possono esistere, non sono mai esistite. Come può infatti un calamo sostenere davvero un tetto o un candelabro gli ornamenti di un frontone o un piccolo stelo, così gracile e flessibile, reggere una figurina seduta? Eppure la gente vede queste finzioni e lungi dal criticarle ne trae diletto, senza riflettere se qualcuna di esse sia possibile nella realtà o no“.
A questa nuova tendenza decorativa, che prelude alle decorazioni di III stile, dà un impulso decisivo proprio la bottega di artisti attivi nella Villa della Farnesina, i cui affreschi, con i loro esili candelabri e altri soggetti descritti nell’opera vitruviana, costituiscono una delle prime manifestazioni di quella moda “depravata” stigmatizzata dall’autore. Secondo recenti studi, gli affreschi sarebbero addirittura databili intorno al 20 a.C., perché in un riquadro dell’ambulacro anulare interno della Villa è riprodotta una battaglia navale, che è stata interpretata come una rappresentazione della battaglia di Nauloco del 36 a.C., in cui Agrippa, ammiraglio della flotta di Cesare Ottaviano, che nel 27 a.C. sarà chiamato Augusto, aveva sconfitto Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno. Dal momento che questo scontro si era svolto mezza generazione prima, qualora esso fosse rappresentato sulle pareti della Villa, una datazione anteriore degli affreschi sembrerebbe plausibile.
Riguardo ai proprietari, grande fortuna ha avuto l’ipotesi, prospettata da Hans Gustav Beyen, di riconoscere nella Villa la residenza suburbana costruita in occasione del matrimonio tra Giulia, unica figlia di Augusto, e il cugino Marco Claudio Marcello, celebrato nel 25 a.C. La decorazione, tuttavia, sarebbe stata ultimata solo più tardi, dopo la prematura morte di Marcello, quando Giulia sposò in seconde nozze Agrippa (21 a.C.). Questa interpretazione è stata accolta con favore per l’interesse scientifico suscitato dal collegamento tra un complesso architettonico eccezionale e personaggi storici ben conosciuti, appartenenti addirittura alla famiglia imperiale. In verità, la presenza nella zona transtiberina di diverse abitazioni suburbane che appartenevano, nella seconda metà del I sec. a.C., a personaggi di rango elevato, rende possibile ma del tutto ipotetica l’attribuzione della Villa a Giulia e ad Agrippa.